Non ridere, non piangere, non far rumore.
Immagina di essere un bambino, e di sentirti ripetere ogni giorno dai tuoi genitori questi ordini. Pena la separazione forzata da loro. O di dover far vivere così i tuoi stessi figli. Privati della libertà , dell’energia chiassosa e del movimento caratteristici di ogni infanzia. Della scuola. Degli amici.
Sembra assurdo, ma questo succedeva davvero in un passato nemmeno troppo remoto, dal dopoguerra agli anni Ottanta, ai piccoli italiani costretti a vivere da clandestini in Svizzera, al seguito dei genitori che emigravano, spesso come lavoratori stagionali, ad esempio per lavorare alla costruzione del tunnel del San Gottardo. Quel tunnel che ho passato decine e decine di volte per anni, senza conoscerne la storia nascosta. E sì, anche il dolore (e i tanti morti per incidenti sul lavoro) collegato ad esso.
È questo il centro del romanzo Chiamami Sottovoce, di Nicoletta Bortolotti. Narra la storia, storicamente contestualizzata nella Svizzera degli anni Settanta, quando  a emigrare eravamo noi, non solo con nessuna facilitazione o pacchetto expat, ma senza nemmeno il diritto del ricongiungimento familiare. I lavoratori erano costretti a nascondere i figli nelle soffitte, nelle cantine o a separarsene. Diversi assumevano come domestiche le loro stesse mogli per poterle far stare in Svizzera.
Una generazione di bambini costretti a vivere in clandestinità , nell’ombra, a cui viene rubata l’ infanzia per evitare la separazione forzata dai genitori e l’ allontanamento coatto in collegi svizzeri.
Il romanzo narra dell’amicizia tra Nicole, otto anni, e Michele, che di anni ne ha nove e in Svizzera non può stare. È uno dei questi bambini proibiti. Ha superato la frontiera nascosto nel bagagliaio di una Fiat 131, ed ora vive in una soffitta, e come uniche compagne ha le sue paure e qualche matita per disegnare arcobaleni colorati sul muro. Le regole dei suoi genitori sono chiare: “Non ridere, non piangere, non fare rumore”. Ma i bambini non temono i divieti degli adulti, e Nicole e Michele stringono un’amicizia fatta di passeggiate furtive nel bosco e crepuscoli passati a cercare le prime stelle. Fino a quando la finestra della soffitta s’illumina per sbaglio, i contorni del disegno di due bambini stilizzati si sciolgono nella neve e le tracce di Michele si perdono…
La scrittrice ha studiato per anni le vicende storiche su cui si basa Chiamami sottovoce e questo lavoro di ricostruzione, ha poi portato alla nascita del documentario Non far rumore, dedicato a questi bambini proibiti, costretti a vivere nell’ombra.Â
Si stima infatti che tra il 1950 e il 1980 entrarono in Svizzera come clandestini dai 15 ai 30 mila bambini, che hanno vissuto nascosti in casa, senza poter andare a scuola, uscire e giocare. Se fossero stati scoperti, l’intera famiglia sarebbe stata espulsa. Così ogni mattina i genitori prima di andare a lavoro ripetevano loro le poche ferree regole: non ridere, non piangere, non far rumore…
Valentina, Svizzera
ho letto Bambini proibiti di Marina Frigerio ed e´stato un impatto molto forte. Una realtá poco conosciuta o poco discussa che immagino si applichi a tutti le famiglie che in qualche modo debbano vivere come clandestine in altre realta´.